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È iniziata l’operazione “ore d’aria”.

Consiste in questo: alcuni giorni della settimana mi vendo la prima fascia serale in cambio del mattino. Entro a ora di pranzo e uscirò a tarda notte: sono o non sono flessibile? spero che le professioniste che esercitano qua fuori nella stessa fascia non prendano troppe confidenze col cofano della mia opel.

Per ora com’è andata? Un disastro. Ieri sera avevo appena posato il capo sul mio guanciale, (2 AM), col sorriso beato di chi sa che non punterà la sveglia, quando mi sono reso conto di avere parcheggiato in striscia blu, là dove nelle ore diurne gli urbani non perdonano. E così ho puntato per le solite otto meno e un quarto.
Stamattina ho fatto quattro volte il giro degli isolati, cercando un posteggio gratis, imprecando a questa piccola città e ai suoi assessori al traffico, finché non ho trovato un buco in un viale subito dimenticato.

Di ricoricarsi, a quel punto non se ne parlava, così sono andato all’infopoint a sbrigare alcune faccende. E sbucando in via Emilia a quell’ora mi sentivo veramente un carcerato appena passato alla libertà condizionata: guarda! La gente che passeggia! Che compra il giornale nelle edicole! Che fa le file alle poste! Che strana, la gente!
Ovviamente le faccende si sono protratte per tutta la mattinata, perché mi hanno chiesto di accompagnare la volontaria inglese al policlinico per una visita: problemi al dente del giudizio, anzi, “teeth of wisdom”, come ha detto lei quando ha capito, e io non c’avrei mai creduto che si dice proprio così.

Stando con me tutto il mattino, la volontaria si è naturalmente convinta che sono un idiota, ma un idiota così idiota che la prima cosa che racconterà alle sue amiche a Manchester sarà l’idiozia di questo italiano che prima dice: “faccio io, ti accompagno in macchina”, e poi non la trova, perché non si ricorda dove l’ha parcheggiata; finché, dopo aver girato quattro isolati a piedi non decide di prendere il bus sbagliato; che quindi dice: “aspetta, ti do i soldi del ticket”, e poi non li riesce a contare; infatti, in regime bimonetario, ha due portafogli che passa da una tasca all’altra, confondendoli sempre, in questo traffico di tasche, taschine, monetine, agendina e cellulare riesce senza fatica a smarrire il biglietto del parcheggio dell’ospedale.

La morale che traggo io è che, se mai avevo qualche attitudine alla vita all’aperto, l’ho persa negli ultimi sedici mesi. Non riesco più a fare una fila in posta. Se per strada m’imbatto in un amico non so più cosa si dice in questi casi. In tasca mi prudono le mani: hanno voglia di cliccare, papà, papà, quand’è che ci riporti dentro, al caldo, al sicuro?

E poi c’è un’altra cosa. Hai voglia a inventarti degli spazi vuoti: appena metti il naso fuori c’è già qualcuno che te li riempie. Ed è peggio di prima.
Non sono più libero qui? Ho una grande finestra che guarda a oriente, su Bologna (e su Gerusalemme), ogni mattina ho il sole, i vigneti e l’argine del Panaro, e intanto clicco e leggo il giornale gratis - finché dura.
Forse dovrei chiedere di fare qualche ore di più, non so, magari quattordici o sedici. Tanto ho capito che in piscina non riuscirò mai ad andarci. E poi che bisogno c’è. Sono già tanto flessibile così –
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Chi va dicendo in giro
Che non amo il mio lavoro
Non sa con quanto impegno
Mi dedico a…


Novità non in libreria

Passavo l'altro giorno non in una libreria ma all'ipermercato, e ho notato che Mondadori sta rimetendo in commercio 1984 con una fascetta molto trendy: "LA VERA STORIA DEL GRANDE FRATELLO".
Qualche acquirente ci resterà male.

Trendy per trendy, non posso fare a meno di segnalare il forum dell'Espresso on line: Isabella Santacroce risponde ai lettori. Roba per palati forti. Mm. La Santacroce è più di un caso letterario, è proprio un caso umano. Questo e-pistolario collettivo ne è la conferma. (No, basta, non voglio fare il solito acido… è una trappola… aiuto).

Beh, e lo sapete chi è l'editore di Luttazzi? Mondadori!
Il signore ha del fegato.

Spopola L'odore dei soldi, tutti lo comprano, (230.000 copie), se è esaurito lo chiedono lo stesso, le librerie lo ordinano, ma poi non è detto che quando arriverà avranno ancora voglia di acquistarlo, e si porrà il problema di smaltire tutte queste rese de L'odore dei soldi. Sospetto che diventerà il più tipico oggetto da bancarella triste – sempre se Berlusconi non va al governo e li manda tutti al macero per decreto.

Anzi Berlusconi, o chi per lui, forse sta già adoperandosi per ritirare tutta questa pubblicistica non ossequiosa. La voce del "misterioso acquirente", che si presenta in edicola e compra la partita in blocco (era successo per esempio a Fiumicino dopo l'intervista a Travaglio), è girata anche all'uscita dell'ultimo numero di "Diario" (la bella rivista di Enrico Deaglio), un numero tutto dedicato a chi? A Berlusconi.
Ecco come potrebbe funzionare la censura forzista. Berlusconi non è mica un fascista. Non vuole manganellare nessuno, ma è convinto di poter comprare qualsiasi cosa. Se un giornalista getta fango su di lui, mica lo minaccia. Mica gli fa fare la fine di Pecorelli. No, lui compra tutto, giornalista e giornali.
A questo punto, se avessi una rivista qualsiasi, anche di taglio e cucito, dedicherei il prossimo numero a Berlusconi. Qualche centinaio di copie in più le farei senz'altro. Magari riceveri anche un'offerta per cedere una quota a Mondadori. Perché, perché non ho più una rivista? Dopo averne avute tante? Che rabbia. Che sfiga.

Se però non volete aspettare il giorno in cui lo troverete su una bancarella a un prezzo risibile, c'è un altro modo di leggere un po' dell'odore dei soldi senza pagare. Wordtheque, il sito più fico d'Italia, ha chiesto e ottenuto di poterne ospitare ampi stralci. Li potete scaricare gratis, in txt o pdf, a questo link.

E poi non dite che non amo il mio lavoro.
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I Colloqui on line
Nel sito di Wordtheque non solo è possibile scaricare gratuitamente più di 20.000 testi in 113 lingue (tra cui il Tegulu, il modenese e il klingoniano, la lingua dei cattivi di Star Trek), ma è anche possibile scaricare fiabe e poesie recitate e compresse in file mp3. Mentre le fiabe ormai sono numerose, e attingono a un solido repertorio (Grimm, Collodi, Andersen… raccomando La principessa sul pisello), le poesie sono ancora poche. C'è qualcosina del Dolce Stil Novo, qualcosina di Pascoli, e poi… ci sono tutti i Colloqui di Guido Gozzano. Quasi tutti: alcuni file sonori devono ancora essere processati: ci vorrà qualche tempo.
Sì, li ho letti io. So di non essere un attore e non ho scuse, se non che era sempre meglio che star tutto il santo giorno a cliccare. Ma perché proprio Gozzano?
Mah. Penso che fosse il mio poeta preferito (al liceo). Credevo anche che fosse facile da recitare, col suo prosaico cantabile, lo stile "di uno scolare corretto un po' da una serva". Mi sbagliavo alla grande. Qualsiasi ermetico o surrealista sarebbe stato meno impegnativo. S'imposta un po' la voce, si dispensano silenzi terroristici, e via, per male che vada… Ma questo assurdo cantastorie liberty, col suo lessico retrò, i suoi giochi metrici che sanno più di enigmistica che di poesia (quel virtuosismo un po' sciatto che spiaceva a Contini ma attira come mosche gli adolescenti), ha anche la pretesa del narratore. Bisogna raccontare la storia e far sentire la filastrocca, e non è facile.
Mi accorgo che non sono dell'umore giusto per parlare (bene) di Gozzano. La lettura integrale mi ha un po' stomacato. Tra tante cose che il solito Montale ha scritto di lui ne ricordo una apparentemente incomprensibile: "Gozzano [come Rossini] va preso col cucchiaino". In effetti è un poeta dolciastro, specie a un secolo di distanza, quando non siamo più abituati a tante rime, tanta narratività, tanta ironia. Almeno in poesia. Ma forse Gozzano è il poeta preferito di chi non ama molto la poesia, e ancor meno i poeti. Certo, la sua antiretorica dopo quasi cent'anni suona fin troppo retorica. Ma io non ne so ancora fare a meno. Mi sorprendo a volte a citarmi addosso versi suoi (o anche di Petrarca, Dante, Leopardi, che lui, senza sospetto d'essere postmoderno, copiava pari pari; e io, ignorantello, lo prendevo in buona fede). E in fondo credo che a questo serva la poesia: a venirci in soccorso quando non sappiamo esattamente cosa dire o cosa pensare. Un verso che mi ritorna ossessivo, in questi giorni, è il seguente:

È triste pensare che i versi invecchiano prima di noi.
(L'ipotesi)

È triste ma è quasi sempre vero. Non in questo specifico caso, però.

Volete scaricare qualche Colloquio?
Vi sconsiglio assolutamente La signorina Felicita: sarà anche un capolavoro, ma supera i 25 minuti: meglio rimandare al tempo della banda larga. Troppo lunghe sono anche Paolo e Virginia e L'amica di nonna Speranza. Lunghetta anche Le due vie, ma è la mia preferita. Cocotte, un po' gerontofila, l'ha letta una mia collega (la stessa della Principessa nel Pisello). Chi volesse solo un assaggio senza perder tempo consiglio L'ultima infedeltà, che è appena un sonetto.
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clicca sul cliccatoreProfessione cliccatore

Da un po' di tempo, quando qualcuno mi chiede "Che cosa fai" (per vivere, sottointeso), posso rispondere: "lavoro in un sito web", e per quindici secondi sono contento. Penso a quant'era complicato una volta dare una risposta.

("Ma tu adesso cosa fai?"
"Ma… mi occupo di progetti, diciamo".
"Progetti?"
"Sì, un progetto europeo".
"Ma in cosa consiste il tuo progetto?"
"Ecco… il mio progetto consiste nel formare un'associazione che organizzi altri progetti, sempre europei".
"Sembra tutto un po' vago".
"Mi rendo conto. Poi sbobino le conferenze. E ho corretto dei volantini naturalistici in primavera. Devo anche finire una guida turistica").

Tutto questo non vale il poter dire "lavoro in un sito web". Con questa semplice frase è possibile trasformarsi, almeno per quei quindici secondi, in una persona molto più interessante. Sono sulla cresta dell'onda, in piena new economy. Senz'altro sono un asso dei computer. E magari guadagno anche un fracco di soldi.
La verità è molto più squallida. Il mio mestiere è quello del cliccatore. L'operaio, il fattorino, il manovale del web. Con tutto il rispetto per queste professioni, dove almeno si esercita la massa muscolare. Tutto quello che il qui presente esercita, per nove-dieci ore al giorno, sono due dita della mano destra. Se lavorassi con un Macintosh, potrei anche venire in ditta con un dito solo.
Che dire? Non ho molta paura degli infortuni sul lavoro. In compenso tra dieci anni probabilmente i miei occhi saranno da buttare.
Non so programmare. Neanche una riga. Da bambino me la cavavo bene col basic del commodore, poi mi sono messo a suonare la chitarra e il Vic20 ha fatto le ragnatele. Che coglione. Adesso sono in balia dei programmatori. Ogni loro negligenza può significare diecimila cliccate in più per me, e i programmatori sanno essere molto negligenti.
In più, si vive col timore che venga il giorno in cui i computer saranno molto più intelligenti e compatibili fra loro, riducendo sensibilmente i diaframmi umani come me.
Non so se nel futuro quello dei cliccatori diventerà un vero e proprio ceto. Negli USA ci sono già degli studi al riguardo, non ricordo dove. In ogni caso si tratterà di un ceto posizionato molto in basso. Possiamo tranquillamente considerarli gli impiegati frustrati del futuro, quotidianamente alle prese con linguaggi che non conoscono, e che maneggiano alla benemeglio. Come i bambini che non sanno leggere, ma guardano le figure, e in un qualche modo se la cavano. Ogni giorno alle prese col dilemma: è troppo tardi per imparare a programmare o è troppo presto per fuggire in campagna?
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Let's go to Hell, boys
Buon principio di quaresima a tutti. Sì, oggi è il mercoledì delle ceneri e cercherò di essere in tema.
Venerdì scorso si parlava dei classici italiani all'estero. Mi è venuta in mente una cosa da mostrare.

"THROUGH ME ONE'S LET INTO THE CITY OF SORROW,
THROUGH ME ONE'S LET INTO EVERLASTING PAIN,
THROUGH ME ONE JOINS THE THRONGS THAT LOST THEIR MORROW.

JUSTICE MOV'D MY HIGH MAKER, NOT DISDAIN;
BY DIVINE POWER WAS I MADE, AND BY
SUPERNAL WISDOM AND FIRST LOVE SOV'REIGN.

NO THINGS WERE MADE, ERE CREATED WAS I,
IF NOT ETERNAL, AND ETERNAL I LAST:
LAY DOWN ALL HOPE, YE WHO STEP IN, AND CRY".

My eyes upon these dark-hu'd words ran fast
That high above a door were hewn in writ;
So "Hard" I said "on me their sense is cast".

Può piacere o non piacere (a me piace), ma credo sia comunque facilmente riconoscibile. È il principio del terzo canto dell'Inferno, tradotto in inglese. Fin qui nulla di straordinario. La traduzione rispetta però tutti i vincoli metrici dell'originale: la rima è concatenata e il verso è il pentametro giambico (il verso inglese più simile all''endecasillabo dantesco). E già questo sarebbe un exploit notevole. Infine: il folle (italiano) che ha fatto questo non si è limitato a quattro quartine, ma ha tradotto l'intera Commedia, Hell, Purgatory e Paradise, tutto.
È un'altra incredibile produzione wordtheque! Non ci contattano soltanto pazzi pericolosi, ma anche pazzi a loro modo ammirevoli, come questo ingegner Fanelli di Firenze, ex maestranza Enel, autore di svariate pubblicazioni di idraulica, che nel tempo libero si diletta di architettura, computer graphics, e traduce Dante verso per verso. Senza gridare al miracolo, come tanti autori di romanzi di sicuro successo.
The power of Dante’s language, dichiara, is so irresistible that sometimes, somehow, it can suddenly shine through this opaque screen. When it does, it gives the rash craftsman an exhilarating thrill. I hope that these few shafts of light can also break through to some of the readers (if any).
Io non ho la competenza né il tempo per verificare se l'inglese di Fanelli funzioni, ma mi piace pensare di sì. Tanta pazienza e modestia meritano menzione. Fate girare la notizia. Avete amici anglofoni che vorrebbero leggere Dante? Creiamo un piccolo caso net-editoriale... Let's go down, boys, let's go hell!
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Sempre sul problema che La nostra cultura è costituita per gran parte da cose che in realtà non sappiamo, ma che ci comportiamo come se le sapessimo:

Sappiamo scrivere italiano?
Perché a scuola non si insegna come si mettono gli accenti? D’accordo, è una cretinata, ma proprio perché è una cretinata andrebbe imparata molto presto, e poi non ci sarebbe da pensarci più. Come le tabelline.
Sono stufo di correggere gli accenti ai docenti universitari… e poi mi confondo anch’io… ma insomma.
Oppure diciamolo, che tanto vale lasciar perdere e imparare sul serio l'inglese (o lo spagnolo).

Sappiamo parlare italiano?
In questi giorni il mio birignao modenese sta diventando una delle voci ufficiali del portale della Logos. Potrete sentirmi leggere, secondo le circostanze, notizie, favole e poesie.
Sì, e non mi vergogno.
Mah, forse dovrei.
Forse perché i miei datori di lavoro sono ispanofoni, e non se ne rendono conto… un modenese al microfono è una sinfonia di sibili, sputacchiate, con un vago sapor di strafottenza provinciale.
E siamo da capo: perché a scuola non insegnano dizione? Nella vita potrebbe tornare più utile che, poniamo, il latino.
Me per me è troppo tardi, e poi al diavolo, per-quel-che-mi-pagano. Continuerò a declamare e sputacchiare finché la pronuncia modenese non diventerà l’accento standard su internet, come il romanesco è lo standard in tv e il milanese lo standard in radio.
A's'vdam
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Piccola proprietà intellettuale (inc.)
Oggi è passato Andrea e volevo passargli questa proposta per un business, era lui che me ne chiedeva sempre. Anche se ha l’aria di essere l’idea giusta nel momento sbagliato…
Sappiamo che nei prossimi mesi il gratuito su internet andrà ridimensionandosi: da luglio napster inizierà a chiedere soldi agli utenti – intanto stanno studiando il modo di inibire il comando “copy” sui siti, ecc.. Chissà, forse qualcuno comincia a pensare che l’utente medio sia pronto al grande passo: diventare un acquirente di file. Sarà vero?
Su wordtheque la maggior parte degli acquirenti erano gli stessi autori. Siccome gli spettavano il cento per cento dei diritti, si creavano situazioni paradossali (gente che telefona protestando: “mi hanno addebitato l’acquisto ma non mi hanno ancora accreditato la vendita”, ecc.). Il servizio è sospeso (non serve a niente e costa burocrazia), ma almeno ha dimostrato che persone anche a digiuno di computer, pur non avendo alcuna intenzione di acquistare on line, possono essere interessati a vendere. Dopotutto, perché no? Oggi il medio utente può mettere qualsiasi cosa on line, ma gratis. Perché non offrirgli una vetrina?
Attenzione: non si tratta di diventare ‘editori’. Non bisognerebbe prendere nessuna percentuale sulle vendite: non è bello, e, soprattutto, non conviene. Invece ci si fa pagare il servizio. Che cosa significa? Che si guadagna qualcosa anche coi file che nessuno venderà mai (e forse sono la maggioranza).
Può sembrare una semplice riedizione delle case editrici-bidone, quelle che da sempre stampano ‘on demand’, o per meglio dire, a spese dell’autore. Ma, oltre che la spesa sarebbe molto inferiore, oltre che sarebbe comunque opportuno mantenere una soglia (bassina) di qualità, potrebbe trattarsi del luogo ideale per l’utente medio che non è necessariamente uno scrittore, artista o programmatore maledetto, ma che ha del materiale a disposizione e vuole non tanto farci soldi, quanto vedere riconosciuta la propria proprietà intellettuale. Dandogli il 100% dei diritti noi gliela riconosciamo: nulla gli vieta di cedere a un editore vero, se ne incontra uno interessato, grazie al nostro sito-vetrina.
Alla fine quel che conta veramente non è ‘vendere’. Quel che conta è mettere le proprie cose in vetrina, proteggendosi però dal copia-incolla selvaggio.
A vedere bene si tratta di un nuovo modo per vedere internet. Non più la zona franca del tutto è gratis (ma non lo è mai stato), ma nemmeno l’ennesimo centro commerciale in mano alla grande distribuzione. Un più umano bazar dove chiunque esibisce la propria mercanzia. Chiunque di noi potrebbe almeno sperare di mettere da parte qualche soldo extra con qualcosa realizzato nel proprio tempo libero: un libro, una canzone in mp3, un programmino per dare da mangiare ai pesci rossi sullo screen-saver, ecc..
L’obiezione è sempre: “Ma chi comprerà questa roba?”
La risposta è: “Chi se ne frega, noi non ci facciamo pagare per i file che vendiamo, noi ci facciamo pagare la vetrina”.
Comunque per i primi due anni almeno bisognerebbe fare tutto gratis, per lanciare la cosa come si deve.
Il maggior pregio del progetto, mi pare, è l’esiguità delle spese: occorre soltanto attivare un contratto con una banca per l’e-commerce, e mantenere un portale efficiente. Nessun magazzino: si venderebbero soltanto file.
La cosa che principalmente mi sfugge è il ruolo della SIAE in tutto questo. Soprattutto per quanto riguarda gli mp3, che sarebbero il mercato più promettente (gli esordienti interessati a commerciare il proprio demo), ecc..
Beh, che ne dite?
Forse non ci si farebbero i miliardi, ma secondo me è un buon inizio. C’è l’aspetto proditorio che deve avere ogni buona iniziativa imprenditoriale (fare soldi sulle velleità creative della gente); e allo stesso tempo c’è anche un’idea globale, politica, contro la distribuzione massificata, per la piccola proprietà intellettuale, geee…
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